MITI E LEGGENDE DELLA NOSTRA TERRA
Tutte le nostre camere hanno un nome che riconduce alla nostra cultura e al nostro folclore popolare intrecciando storia, mito e tradizione.
Un racconto che ci invita a riflettere sul profondo legame tra l'uomo e il suo territorio, sulla capacità di trasformare l'immaginario in elemento identitario e sul potere evocativo delle leggende, capaci di trascendere i secoli e continuare ad emozionare.
DEA CUPRA:
Una Divinità Picena tra Mito e Realtà
Introduzione
La Dea Cupra emerge come una figura centrale nel pantheon religioso dei Piceni, un popolo che abitava l'Italia centrale tra il IX e il III secolo a.C. Venerata come divinità femminile primaria, il suo culto permeava la sfera sociale e culturale dei Piceni, intrecciandosi profondamente con la loro vita
quotidiana.
Le Origini e il Culto
Le origini del culto di Cupra rimangono avvolte nel mistero. Alcune teorie la collegano a divinità pre-indoeuropee, mentre altre ipotizzano una connessione con il mondo greco-romano. Indipendentemente dalle sue origini, Cupra divenne la dea più importante per i Piceni, simboleggiando la forza creatrice e la fertilità della natura.
Le Sfaccettature Divine di Cupra
Cupra non era semplicemente una dea della fertilità. Assumeva molteplici sfaccettature, incarnando diverse sfere del mondo naturale e umano.
- Dea Madre: Cupra rappresentava la Grande Madre, dispensatrice di vita e protettrice dei bambini. La sua figura era associata alla maternità e alla cura, elementi essenziali per la sopravvivenza della società picena.
- Dea delle Acque: profondamente legata alle sorgenti, ai fiumi e al mare, Cupra era venerata come fonte di vita e purificazione. I suoi santuari sorgevano spesso in prossimità di corsi d'acqua, sottolineando questo legame intrinseco.
- Dea della Guarigione: le proprietà curative delle acque sacre associate a Cupra erano ampiamente riconosciute. I Piceni si rivolgevano alla dea per ottenere sollievo da malattie e infermità, affidandosi al suo potere benefico.
- Dea della Guerra: in alcuni contesti, Cupra era associata anche alla guerra e alla protezione in battaglia. I guerrieri piceni invocavano la sua forza e il suo coraggio prima di affrontare i nemici.
Simboli e Raffigurazioni
La dea Cupra non era raffigurata in modo uniforme. Alcune statue la rappresentano come una donna maestosa, vestita con abiti sontuosi e adornata con gioielli. Altri reperti la mostrano associata a simboli specifici, come la colomba, emblema di pace e prosperità, o la patera, un piatto rituale utilizzato per libagioni.
Culto
Il centro del culto di Cupra era il santuario di Cupra Marittima, cittadina a pochi chilometri dal mare. Qui sorgeva un imponente tempio, meta di pellegrinaggi e riti propiziatori. I Piceni celebravano la dea con doni votivi, sacrifici animali e solenni processioni. Le sacerdotesse, ricoprivano un ruolo fondamentale, custodi del sacro sapere e intermediarie tra il divino e il popolo.

Sincretismo:
Con la conquista romana del territorio piceno, il culto di Cupra non scomparve del tutto. La dea venne assimilata alla figura di Venere e, in particolare, con Bona Dea, divinità latina associata alla fertilità e alla guarigione. Il suo nome rimase legato al luogo, tanto che la città romana sorta vicino al santuario prese il nome di Cupra Marittima, conservando così il ricordo di questa antica divinità.
Conclusione:
La Dea Cupra rappresenta un tassello fondamentale per comprendere la complessa identità dei Piceni. La sua immagine, sfaccettata e ricca di significati, incarnava i valori e le credenze di una società profondamente legata alla terra e al ciclo della vita. La sua eredità vive ancora oggi, alimentando il fascino e il mistero che avvolgono questa affascinante figura del mondo antico.
POLISIA:
Tra leggenda e storia, un'anima immortale
Nelle Marche, dove l'Adriatico cede il passo a dolci colline e maestose montagne, sorge il Monte dell'Ascensione, un luogo avvolto da un'aura di mistero e suggestione. Situato interamente in provincia di Ascoli Piceno, si erge a cavallo delle valli del Tronto e del Tesino, dominando il territorio con la sua altezza di 1.110 metri. Tra le sue cime incontaminate, risuona ancora l'eco di una leggenda che ha attraversato i secoli, quella di Polisia, una giovane donna dal cuore indomito e dalla fede incrollabile. Polisia, figlia del Prefetto romano Polimio, visse in un'epoca di grandi sconvolgimenti, quando il Cristianesimo iniziava a diffondersi, portando con sé nuove idee e valori. In contrasto con le convinzioni del padre, la giovane abbracciò la nuova fede, trovando conforto e speranza negli insegnamenti di Cristo. La sua scelta non passò inosservata. Polimio, furioso per la conversione della figlia, ordinò ai suoi soldati di catturarla e riportarla indietro. Polisia, piuttosto che rinnegare la sua fede, scelse la fuga, rifugiandosi tra le asperità del Monte dell'Ascensione. Braccata dai soldati, si narra che Polisia giunse sull'orlo di un precipizio, con la morte certa che si profilava all'orizzonte. In quel momento di disperazione, la giovane invocò l'intervento divino. E il miracolo accadde. Il monte si aprì, accogliendola nel suo seno e salvandola dalla furia del padre. Ancora oggi, la leggenda narra che Polisia viva all'interno della montagna, tessendo un abito d'oro per il suo sposo celeste. Il suo spirito aleggia tra i boschi e le rocce, protettrice silenziosa di questa terra sacra. Ma Polisia è più di una semplice leggenda. Il suo nome è indissolubilmente legato al Monte dell'Ascensione, tanto che alcuni studiosi ipotizzano che la denominazione stessa del monte derivi proprio da lei.
Oltre al fascino leggendario, il Monte dell'Ascensione offre un panorama naturalistico di rara bellezza. I sentieri escursionistici si snodano tra boschi rigogliosi, prati fioriti e panorami mozzafiato, regalando ai visitatori un'esperienza immersiva nella natura incontaminata. Sulla vetta del monte, domina il Santuario della Madonna dell'Ascensione, meta di pellegrinaggi fin dal Medioevo. Un luogo di pace e spiritualità, dove si respira un'atmosfera di profonda devozione. La leggenda di Polisia e il Monte dell'Ascensione rappresentano un patrimonio inestimabile, un monito alla fede e al coraggio di fronte alle avversità. Un invito a riscoprire le nostre radici e a valorizzare la bellezza che ci circonda, non solo con gli occhi, ma anche con il cuore.

SERPENTE AUREO:
Leggenda e Simbolo
Introduzione
Offida, pittoresco borgo marchigiano arroccato su una collina, custodisce gelosamente una leggenda che si intreccia indissolubilmente con la sua stessa identità: il mito del Serpente Aureo. Un racconto fantastico che narra di una creatura prodigiosa che attraversò la città, lasciando un segno indelebile nella memoria collettiva e plasmando la cultura locale.
La leggenda e i suoi simbolismi
Secondo la tradizione popolare, un serpente di smisurate dimensioni e dorato come il sole si snodò un giorno tra le vie di Offida, seguendo un percorso che coincideva con l'attuale Corso Serpente Aureo, l'arteria principale del borgo. Il suo passaggio fu un evento miracoloso, accolto con stupore e venerazione
dagli abitanti. Si narra che la creatura portò con sé fortuna e prosperità, divenendo un simbolo benaugurante per la comunità. La figura del serpente, presente in diverse culture e mitologie, assume molteplici significati. In questo
caso, il Serpente Aureo potrebbe rappresentare la forza vitale, la saggezza antica, il potere di rinnovamento o addirittura una divinità protettrice. La sua associazione all'oro, metallo prezioso e inalterabile, ne sottolinea il valore sacro e l'incorruttibilità.
Il legame con il territorio e la storia
La leggenda del Serpente Aureo si inserisce perfettamente nel contesto storico e geografico di Offida. Già in epoca preistorica, infatti, la zona era abitata da popolazioni che veneravano il serpente come simbolo di divinità ctonie, legate alla terra e ai suoi misteri. Numerosi reperti archeologici, tra cui statue e manufatti raffiguranti serpenti, testimoniano questa devozione. Inoltre, la posizione geografica di Offida, arroccata su un colle tra due fiumi, potrebbe aver contribuito al nascere della leggenda. Il sinuoso corso dei fiumi, simile al corpo di un serpente, e la presenza di sorgenti d'acqua, elemento spesso associato al serpente in quanto creatura legata al mondo sotterraneo, potrebbero aver alimentato l'immaginario collettivo e dato vita al mito.
La leggenda del Serpente Aureo ha avuto un profondo impatto sulla cultura di Offida, permeando ogni aspetto della vita sociale e artistica del borgo. Da esso prende il nome sia il
Teatro di Offida che il
Corso principale.

Conclusione
La leggenda del Serpente Aureo di Offida rappresenta un affascinante esempio di come il folclore e la fantasia popolare possano arricchire il patrimonio culturale di un luogo, intrecciando storia, mito e tradizione. Un racconto che ci invita a riflettere sul profondo legame tra l'uomo e il suo territorio, sulla capacità di trasformare l'immaginario in elemento identitario e sul potere evocativo delle leggende, capaci di trascendere i secoli e continuare ad emozionare.
SIBILLA:
Leggenda e mito della Sibilla appenninica
e delle fate
Leggenda e mito della Sibilla appenninica e delle fate Monti Sibillini, posti nel cuore del' Italia, tra Marche e Umbria, devono il loro nome alla figura leggendaria della Sibilla, una profetessa che si dice dimorasse all' interno del Monte Sibilla, da cui prende il nome la vetta più alta del gruppo montuoso. Secondo la leggenda, la Sibilla abitava in una grotta situata sulla cima del Monte Sibilla, conosciuta anche come la Grotta delle Fate. Questa grotta era considerata l'ingresso al suo regno sotterraneo, un luogo magico e misterioso dove la Sibilla custodiva i suoi segreti e profetizzava il futuro. La Sibilla, figura centrale di racconti e credenze popolari, è stata descritta in modi differenti nel corso dei secoli. Alcuni la narrano come una maga o un'incantatrice, altri come una fata o una sacerdotessa dotata di poteri soprannaturali. Indipendentemente dalle sue diverse rappresentazioni, la Sibilla rimane un' immagine affascinante e misteriosa che ha catturato l'immaginazione di generazioni. Secondo la leggenda, la Sibilla era buona e incantatrice, conoscitrice dell’astronomia e della medicina, ed elargiva responsi profetici con un linguaggio non facile da interpretare. Essa si circondava da fate che uscivano la notte, e risalivano prima dell’alba per non essere escluse dal regno della Sibilla. Le fate tuttavia avevano contatti con l’uomo, recandosi a valle per insegnare alle giovani la filatura e la tessitura delle lane, e per incontrare i giovani pastori ed insegnavano loro il saltarello. Si narra che per spostarsi da un paese all'altro, le fate prendessero in prestito i cavalli, che la mattina venivano trovati affaticati, sudati e con le criniere magicamente intrecciate. Le fate della leggenda sono però creature soprannaturali e il loro aspetto è quello di giovani donne con piede caprino che veniva abilmente nascosto, agli occhi dei pastori, sotto i loro gonnelloni e di cui si servono per risalire agilmente i ripidi sentieri di montagna. Anche la corona del Monte Sibilla sarebbe dovuta ai colpi degli zoccoli delle fate, che dopo una lunga notte di danze coi pastori, avrebbero risalito in fretta il monte per tornare nella dimora della Sibilla. Da qui nasce la leggenda di amori stregati che le legava ad alcuni uomini, i quali una volta entrati in contatto con le fate, talvolta venivano irretiti e sottratti al mondo umano, e rimanevano in vita fino alla fine del mondo, sebbene costretti a vivere nella grotta, nel modo della notte con le fate e la sacerdotessa. Due sono le opere principali, in letteratura, che trattano della leggenda della Sibilla, entrambi risalenti al quindicesimo secolo: “La Salade” di Antoine de la Sale e “Il Guerrin Meschino” di Andrea da Barberino.
